Domenica di un Gennaio qualunque, ore 8.
Sarebbe prima mattina anche di lunedì, figuriamoci di domenica. E sono le 8 e 02 ormai e mi devo
alzare. La sveglia suona così presto perché ho in programma un’escursione.
Diciamo che spinta da tutto questo spirito d’avventura che invade le mie bacheche social decido
che è il momento di alzare il sedere e riempire le giornate libere; magari con una bella boccata di
aria fresca nella natura farcita anche di cultura. Certo, non avrei voluto iniziare con tombe di morti
defunti e scalinate impervie ma ho deciso: per oggi Maria de Filippi potrà stare in tv senza di me.


La direzione è Porto Torres. Vado a prendere un’amica e ci mettiamo in marcia verso l’altare di
Monte D’Accoddi. Ho con me tutta l’attrezzatura fondamentale: GoPro, scarpe da ginnastica, felpa
Decathlon, occhiali da sole per mascherare l’hangover e subito mi confondo senza destar sospetto
in mezzo agli escursionisti pro (come l’action cam che dovrebbe farmi sembrare sportiva).

Vengo immediatamente colpita dal gran numero di persone che la domenica fanno chilometri per
un’escursione tra le tombe. Inizio a pensare che ci sia davvero qualcosa di interessante. Sono tutti
cordiali e ci presentiamo con un gran sorriso e delle forti strette di mano. Ecco, queste mi
spaventano perché inizio a pensare che dovremo affrontare una prova fisica che metterà a rischio
la vita di tutti noi. Il pentimento e la voglia di scappare un po’ mi attraversano. Ma arriva la guida,
gentile e così sorridente e propositiva che mi fa sentire talmente al sicuro che decido di
intraprendere questo cammino. Alla fine di un sentiero ci imbattiamo in un grande prato verde,
disseminato di margherite bianche, le mie preferite.

Ad ergersi in mezzo a tutta questa natura
l’altare di Monte D’Accoddi, del quale subito colpisce la maestosità quasi altezzosa che sembra
dirti “Ehi, sono resistito più di 4500 anni e tu sei già affannata dopo 30 scalini?”. Riprendo fiato e
ammiro la vista. Quassù nel 3500 a.C. sorgeva un tempio, nel quale venivano fatti sacrifici per gli
Déi. A quel punto, per me, il sacrificio era abbandonare quella vista e quel benessere che si crea
nello stare in alto ad occhi chiusi a respirare un po’ di tutta quella spiritualità che evapora dalle
rocce. Ci sediamo in cerchio sul prato e ascoltiamo la guida raccontare con piacere tante curiosità
sull’altare. Facciamo un pranzo al sacco e nel frattempo testo il comando vocale della gopro per
immortalare il momento. Ottengo scarsi risultati, i menhir sono di gran lunga più fotogenici di me.


La seconda tappa è la Necropoli di Su Crocifissu Mannu, poco distante dall’altare. Vi direte ciò che
pensavo io “Ecco, è arrivato il momento dei morti, chissà l’entusiasmo”. E invece ci siamo trovati
davanti ad una necropoli di Domus de Janas fantastiche. Ciò che mi ha colpito è che siano state
scavate nella roccia delle tombe utilizzando utensili di roccia. Forse nasce proprio da qua il luogo
comune della testardaggine dei sardi.


Domenica di Gennaio, ore 16.
Contro ogni aspettativa l’aria aperta ed il trekking mi attivano e mi ricaricano. Accedo sempre più
sorpresa alle infinite stanze create per i defunti pensando che quelle stesse camere, millenni fa
sono state calpestate magari dalla versione neolitica di me stessa: ghiotta di conchiglie e con una
speranza concreta nell’aldilà. Arriva quello che è stato il mio momento preferito: l’accesso all’ultima
domus, dalla grandezza ridotta per cui accediamo 3 la volta. Io, l’amica che ha subito tutte le mie
lamentele riguardo la sveglia presto ed un’altra ragazza parte del nostro gruppo d’escursione. Ci
sediamo in questo cunicolo a respirare aria umida nella penombra di una domus creata davvero
molte lune fa. In silenzio ammiriamo il graffito di fronte a noi. Immenso. Due diverse teorie intorno
alla sua simbologia: che rappresenti un Toro, e dunque la forza, o rappresenti un utero femminile,
e quindi rappresenti la vita. Non c’è stato bisogno di dirci quale delle due teorie appoggiassimo,
uno sguardo ha suggellato il momento di forza e potenza nell’attimo di vita che stavamo vivendo.
Forse simboleggiava proprio questo, cancellando ogni bisogno di appoggiare una o l’altra teoria.


Ore 17 della domenica di Gennaio che ricorderò: ho respirato tra le margherite di un altare del
Neolitico, ho scalato la sua vetta che fungeva da raccordo tra cielo e terra, umano e divino e sono
andata sotto terra, ho toccato graffiti incisi da roccia su roccia, dove l’uomo alla fine della sua vita
tornava ad essere terra. Torno leggera e penso che più che un’escursione sia stata una bella
avventura.